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design thinking

 Cos’è il Design Thinking?

Il Design Thinking è una metodologia estremamente utile nel processo di creazione di un prodotto, in particolare quando si tratta di sviluppare un applicativo o una soluzione software. Si rivela preziosa ogni volta che ci poniamo domande come: “Quanto tempo mi ci vorrà per portare a termine questo progetto?” o “Quale sarà il costo complessivo?”.

Sappiamo bene che tempo e budget sono risorse limitate, e proprio per questo diventano fattori centrali nel processo decisionale. Di conseguenza, è utile spostare l’attenzione da domande generiche a quesiti più mirati, come ad esempio: “Quali tra le attività possibili sono davvero utili?” oppure “Quali funzionalità sono essenziali per il successo del prodotto?”.

In contesti di sviluppo, dove le risorse devono essere gestite con precisione, è fondamentale capire cosa realizzare e in quale ordine farlo. Ed è qui che il Design Thinking entra in gioco, offrendoci un metodo strutturato per fare chiarezza.

Il Design Thinking è una metodologia di pensiero progettuale che ci aiuta a comprendere il perimetro del progetto, a definire quali elementi includere e a identificare le feature realmente essenziali. Si tratta di un approccio nato in ambito manageriale, sviluppato negli anni ‘60 all’Università di Stanford da Herbert A. Simon, che nel suo libro “The Sciences of the Artificial” (1969) è stato il primo a descrivere il design come una scienza del pensiero.

Nel concreto, il Design Thinking può essere definito come un processo creativo e sperimentale che mira a migliorare la qualità delle decisioni. Il suo vero valore è quello di generare conoscenza. Non si limita a produrre idee, ma permette di validarle rapidamente, riducendo il rischio di sprecare tempo e risorse nello sviluppo di soluzioni inutili o inefficaci.

Sebbene il Design Thinking abbia applicazioni molto ampie, in questa sede ci concentreremo sul suo impiego nell’ambito dello sviluppo software, dove rappresenta uno strumento potente per progettare prodotti utili, concreti e centrati sui bisogni reali dell’utente.

Design Thinking fasi

Il processo del design thinking per il product management può essere diviso in sei fasi:

  1. Empatizza: Fai un sondaggio per capire i gusti dei tuoi utenti. La ricerca può essere svolta sotto forma di interviste, osservazioni, focus group, sondaggi.
  2. Definisci: Raggruppa i dati del sondaggio in modo da arrivare a definire precisamente dove esiste un problema per l’utente.
  3. Elabora: Prepara possibili soluzioni. Non ti porre limiti, non esistono proposte troppo strane o stupide!
  4. Prototipa: Crea immediatamente qualcosa di tangibile che ti permetta di verificare la tua idea sul campo.
  5. Testa: Ecco il momento, essenziale, di testare la tua idea sul campo, con utenti di prova o con un pubblico specifico.
  6. Implementa: Metti in atto la tua visione.

Sembra davvero interessante, ma quanto costa fare un’app e quanto tempo ci vuole per realizzarla?

Design Thinking: Metodologia Applicata Un caso studio

Know Unknowns: The Project Start-X

Qualche tempo fa mi sono trovato in riunione con un imprenditore e alcuni manager, tutti carichi di idee. Il loro diretto concorrente aveva appena lanciato una nuova applicazione sul mercato, e la tensione era tangibile: l’urgenza di reagire era fortissima, e il timore di restare indietro spingeva ognuno a proporre soluzioni.

“Dobbiamo fare quello che hanno fatto gli altri, ma con un prezzo più competitivo” — suggeriva il direttore marketing.
“Serve un sistema più semplice e intuitivo, che migliori davvero l’esperienza dell’utente” — ribatteva un altro manager.
“Dobbiamo cambiare come raccogliamo i dati e integrarci meglio con i sistemi esterni” — aggiungeva un terzo.
Intanto, il direttore tecnico scuoteva la testa: mentalmente, stava già traducendo ogni proposta in centinaia di ore di sviluppo software.

Quel meeting — e anche i successivi — si rivelarono poco risolutivi. Non riuscivamo a definire chiaramente cosa volevamo davvero costruire. L’unica certezza era che serviva una risposta rapida ed efficace, qualcosa che colpisse nel segno in tempi stretti. L’Azienda-X, pur essendo strutturata e parzialmente abituata a lavorare in ottica Agile, non aveva mai veramente sperimentato l’approccio dell’MVP — Minimum Viable Product. C’era timore: “Non possiamo permetterci un mezzo prodotto. Ci serve qualcosa di completo”, era il commento ricorrente.

Tre settimane dopo, con il concorrente che cominciava a raccogliere i frutti del suo lancio, l’urgenza divenne necessità. È stato in quel momento che abbiamo deciso di cambiare approccio: non avremmo realizzato tutto, ma ci saremmo concentrati solo su ciò che portava vero valore all’utente finale. L’idea non era fare una copia della concorrenza, ma fare solo ciò che era essenziale, in modo mirato e strategico. E avevamo due mesi per riuscirci.

Fu così che l’Azienda-X, seppur con qualche iniziale esitazione, avviò un progetto basato sul Design Thinking, con l’obiettivo di comprendere, imparare e progettare un prodotto centrato sul valore reale per il cliente. Un percorso che, passo dopo passo, avrebbe trasformato l’urgenza in opportunità.

Design Thinking: metodologia in azione – Empatizza

La prima fase della metodologia del Design Thinking riguarda l’empatizzare, ovvero comprendere profondamente gli utenti e sviluppare un reale senso di empatia nei loro confronti. Questo significa mettersi nei loro panni, osservare, ascoltare e raccogliere informazioni senza pregiudizi.

È anche il momento in cui bisogna evitare che l’HiPPO (Highest Paid Person’s Opinion) — ovvero l’opinione della persona con lo stipendio più alto — condizioni le scelte strategiche. Le decisioni devono partire dai bisogni reali, non da intuizioni o gerarchie.

Insieme ai manager, abbiamo iniziato compilando una lista di stakeholder da coinvolgere nella fase decisionale. In una giornata intensa di incontri, abbiamo stilato una prima lista di 30 nominativi tra dipendenti, responsabili funzionali e clienti, ciascuno dei quali rappresentava un segmento di pubblico target all’interno della customer base dell’azienda.

Ogni stakeholder era collegato a circa 4.000 utenti (ovvero circa il 10% della clientela ricorrente). Abbiamo lavorato per normalizzare il campione, garantendo una distribuzione equilibrata per genere, settore e altri parametri rilevanti.

I primi risultati qualitativi ottenuti dalle interviste dirette sono stati incoraggianti. Gli intervistati si sono dimostrati disponibili a condividere punti di vista, criticità, e suggerimenti su ciò che funzionava e su ciò che, invece, andava migliorato.

Diverso è stato l’esito dei primi questionari online: su 300 email inviate, abbiamo ottenuto appena 5 risposte. Il risultato ci ha lasciati delusi, e ci siamo subito messi alla ricerca di nuove modalità per coinvolgere gli utenti in maniera più efficace.

È stato allora che Chiara, responsabile vendite, ha proposto un’idea tanto semplice quanto geniale: “Non risponderanno a una email qualunque, non sono abituati a interagire con noi. Ma se contattiamo quelli con il rinnovo in scadenza e offriamo loro un piccolo incentivo, ci ascolteranno.”

In poche ore abbiamo generato una nuova lista di 3.800 utenti, mantenendo la distinzione tra mainstream ed extreme users, ma includendo persone costrette a interagire con il sistema. Abbiamo lanciato una nuova campagna: chi completava il modulo di feedback avrebbe ricevuto uno sconto sul rinnovo. Il tasso di risposta è salito oltre il 70%.

Abbiamo iterato e migliorato il questionario, modificato alcune domande e intervistato nuovamente alcuni utenti — con ottimi risultati. Alla fine, avevamo un database solido e approfondito: conteneva problemi reali percepiti dai clienti, criticità interne mai comunicate al management e punti di forza/debolezza segnalati direttamente dagli utenti.

Il passo successivo è stato l’identificazione del nostro target, per delineare le Personas, ovvero i profili-tipo dei potenziali clienti e utenti del prodotto. Durante questa fase di brainstorming, svolta completamente a distanza tramite videoconferenze e strumenti digitali collaborativi, abbiamo coinvolto l’intero team — il nostro e quello dell’Azienda-X.

Per ciascuna Persona abbiamo identificato:

  • la biografia

  • il rapporto con la tecnologia

  • l’uso dei social media

  • i brand preferiti

  • le esigenze specifiche

  • le aspettative sul Customer Journey

Tutti questi elementi ci hanno permesso di comprendere davvero chi fosse il nostro utente e cosa desiderasse. Una volta definite le marketing personas, era finalmente arrivato il momento di passare alla fase successiva del Design Thinking: definire la soluzione.

Design thinking: metodologia in azione – Definisci

Durante la fase di definizione all’interno del processo di Design Thinking, ci siamo concentrati su un passaggio cruciale: trasformare un problema generico in una sfida ben definita e concreta. Il punto di partenza era una richiesta vaga: “Dobbiamo creare un prodotto che raggiunga le masse e faccia parlare di sé.” Ma sapevamo che, per avere successo, serviva molto di più. Così, abbiamo riformulato il problema in modo più specifico e centrato sull’utente:

“Uomini e donne adulti, tra i 35 e i 45 anni, cercano una soluzione per migliorare la loro esperienza di comunicazione digitale mentre sono fuori casa. Hanno bisogno di un dispositivo pratico, portatile e intuitivo, che li accompagni in ogni momento della giornata.”

Con questo obiettivo in mente, abbiamo avviato lunghe sessioni di brainstorming, guidati dal principio fondamentale del Design Thinking: “Non esistono idee stupide.” Abbiamo analizzato in profondità i comportamenti e le esigenze dei nostri utenti, immaginato scenari realistici e mantenuto una mentalità aperta a ogni possibilità di innovazione.

In breve tempo, siamo riusciti a delineare con chiarezza cosa servisse davvero ai nostri utenti, quali fossero le loro aspettative, timori e bisogni nascosti. Per ciascuna Persona definita, abbiamo costruito un profilo dettagliato e disegnato la rispettiva Customer Journey, mappando ogni passaggio rilevante dell’esperienza d’uso.

Per organizzare in modo strutturato il processo, abbiamo scelto di lavorare con una User Story Map, uno strumento potente che ci ha permesso di:

  • Categorizzare correttamente le attività dell’utente

  • Identificare i temi principali (contrassegnati visivamente, ad esempio con etichette blu)

  • Tracciare storie e compiti che ogni Persona avrebbe dovuto affrontare lungo il percorso

Avevamo però un’esigenza chiara: testare la nostra idea il prima possibile. Dovevamo capire rapidamente se la nostra soluzione rispondesse davvero ai bisogni individuati, per poterla validare e portare sul mercato in tempi brevi. Il nostro concorrente, nel frattempo, stava guadagnando terreno e iniziava a ottenere riscontri concreti dal mercato. I numeri erano a loro favore, ed era essenziale muoversi con decisione, ma senza perdere di vista il nostro obiettivo: costruire un prodotto centrato sull’utente, rilevante e utile fin dal primo utilizzo.

Design thinking: metodologia in azione – Elabora

Durante questa fase della metodologia del Design Thinking, siamo passati dal pensiero all’azione: abbiamo iniziato a delineare possibili soluzioni, sviluppando schizzi, prototipi e flussi logici, attraverso un mix di brainstorming e brain-writing, sempre con l’utente finale al centro.

Il nostro team, completamente distribuito a distanza, ha optato per un approccio semplice ma efficace. Dopo una prima consultazione, abbiamo deciso di favorire la rapidità e la fluidità, scegliendo strumenti facilmente accessibili per la fase iniziale. I designer e alcuni membri del team hanno concordato una procedura snella: invece di utilizzare da subito tool di sketching digitali, abbiamo cominciato a mano libera, disegnando su carta, per poi condividere le foto all’interno del gruppo di lavoro. I prototipi più interessanti e promettenti sono stati poi sviluppati in digitale tramite strumenti come Balsamiq o Axure.

È importante sottolineare che anche questa fase, come tutte le altre del Design Thinking, non segue un ordine rigidamente sequenziale. Abbiamo continuato a interagire costantemente con il team esteso, raccogliendo feedback in tempo reale non solo dai colleghi, ma anche dagli utenti intervistati nelle fasi precedenti. Questo ci ha permesso di aggiustare il tiro rapidamente, aggiornando schizzi, rivedendo appunti e integrando nuove domande e proposte.

Grazie a questo processo iterativo, siamo riusciti a definire con chiarezza quali cambiamenti apportare e quale tipo di design fosse necessario per rispondere ai bisogni reali degli utenti. La creazione dei bozzetti digitali si è rivelata fluida: grazie al lavoro preliminare e alla condivisione già avvenuta, ogni sezione del prodotto era ben delineata, con comportamenti chiari e funzionalità discusse e validate collettivamente.

Design thinking: metodologia in azione – Prototipa

È arrivato il momento del go real — il passaggio dalla teoria alla pratica. Tutto il lavoro fatto finora, ogni ipotesi, ogni prototipo, ogni feedback raccolto attraverso la metodologia del Design Thinking, doveva finalmente essere messo alla prova. Era il momento di verificare se ciò che avevamo progettato funzionasse davvero.

Dopo quasi dieci giorni di lavoro intenso, siamo arrivati al punto cruciale: testare in maniera concreta le soluzioni sviluppate. Insieme al team di sviluppo, abbiamo valutato con attenzione le complessità tecniche e identificato che la parte più onerosa dello sviluppo risiedeva nella creazione del back-end e nella sua integrazione con i sistemi legacy già presenti. Al contrario, la realizzazione del front-end si è rivelata più veloce e facilmente prototipabile.

Ci siamo dati una scadenza netta: tre giorni per costruire una prima versione testabile, fedele al concept originale e con tutte le funzionalità essenziali, seguiti da altri tre giorni per iterare e ottimizzare in base ai dati raccolti.

Per accelerare il processo, abbiamo deciso di riutilizzare componenti già disponibili, costruendo il prototipo del front-end su basi consolidate. Abbiamo integrato anche un software di analisi delle heat maps, per ottenere dati visivi sul comportamento degli utenti durante l’interazione con l’interfaccia.

Dopo tre giorni — e una buona dose di impegno — avevamo tra le mani la prima versione funzionante del prototipo, alimentata da dati fittizi ma realistici, che simulavano il comportamento del sistema finale. Anche se mancavano alcune funzionalità secondarie, la struttura era solida e rappresentava la base concreta di quello che sarebbe stato il prodotto finito.

In appena due settimane, avevamo realizzato un prototipo completo da far testare agli utenti reali. Era il momento della verità: verificare se le nostre intuizioni, validate fino a quel momento solo a livello teorico e visivo, avrebbero superato la prova dell’esperienza diretta degli utenti finali.

Design thinking: metodologia in azione – Testa

È arrivato il momento del go real — il passaggio dalla teoria alla pratica. Tutto il lavoro fatto finora, ogni ipotesi, ogni prototipo, ogni feedback raccolto attraverso la metodologia del Design Thinking, doveva finalmente essere messo alla prova. Era il momento di verificare se ciò che avevamo progettato funzionasse davvero.

Dopo quasi dieci giorni di lavoro intenso, siamo arrivati al punto cruciale: testare in maniera concreta le soluzioni sviluppate. Insieme al team di sviluppo, abbiamo valutato con attenzione le complessità tecniche e identificato che la parte più onerosa dello sviluppo risiedeva nella creazione del back-end e nella sua integrazione con i sistemi legacy già presenti. Al contrario, la realizzazione del front-end si è rivelata più veloce e facilmente prototipabile.

Ci siamo dati una scadenza netta: tre giorni per costruire una prima versione testabile, fedele al concept originale e con tutte le funzionalità essenziali, seguiti da altri tre giorni per iterare e ottimizzare in base ai dati raccolti.

Per accelerare il processo, abbiamo deciso di riutilizzare componenti già disponibili, costruendo il prototipo del front-end su basi consolidate. Abbiamo integrato anche un software di analisi delle heat maps, per ottenere dati visivi sul comportamento degli utenti durante l’interazione con l’interfaccia.

Dopo tre giorni — e una buona dose di impegno — avevamo tra le mani la prima versione funzionante del prototipo, alimentata da dati fittizi ma realistici, che simulavano il comportamento del sistema finale. Anche se mancavano alcune funzionalità secondarie, la struttura era solida e rappresentava la base concreta di quello che sarebbe stato il prodotto finito.

In appena due settimane, avevamo realizzato un prototipo completo da far testare agli utenti reali. Era il momento della verità: verificare se le nostre intuizioni, validate fino a quel momento solo a livello teorico e visivo, avrebbero superato la prova dell’esperienza diretta degli utenti finali.

Dallo schizzo alla realtà: sviluppare un MVP con il Design Thinking

Avevamo dati, idee, Personas e un prototipo visibile. Era giunto il momento di rimboccarci le maniche e iniziare davvero lo sviluppo.

Ci siamo dati un tempo limite di un mese e mezzo per costruire il nostro sistema. L’obiettivo era creare un MVP — Minimum Viable Product, ovvero la versione minima e funzionale del prodotto. Non un semplice prototipo, ma un prodotto finito, pronto per l’uso, con tutte le caratteristiche essenziali per essere adottato da un primo gruppo di utenti e raccogliere feedback reali.

Abbiamo definito alcuni punti fermi per guidare il nostro percorso:

  • Rispettare quanto definito nelle fasi iniziali del Design Thinking

  • Mantenere una struttura flessibile, pronti a cambiare strada in caso di ostacoli

  • Utilizzare metodologie agili per organizzare e velocizzare il lavoro

A questo punto, abbiamo integrato nuove figure nel team: sviluppatori front-end e back-end, designer, tutti incaricati di realizzare concretamente il prodotto. Non avevano partecipato alle prime fasi, quindi era fondamentale allinearli alla visione.

Comunicare una visione chiara: strumenti agili per team distribuiti

Il team era distribuito e lavorava da remoto, perciò abbiamo deciso di affidarci agli strumenti suggeriti dal metodo agile, evitando lunghi documenti e optando per materiali sintetici e condivisibili:

  • Elevator Statement: una presentazione rapida del prodotto (30-60 secondi)

  • Product Datasheet: riassunto delle caratteristiche chiave

  • Product Vision Box: “la scatola” ideale del nostro prodotto, con i messaggi essenziali

  • User Conference Slides: un paio di slide per raccontare il prodotto a un pubblico

  • Press Release: un comunicato stampa simulato, per allineare la visione

  • Magazine Review: una recensione immaginaria da parte di una rivista di settore

Abbiamo scelto di iniziare dal comunicato stampa: anche se non sarebbe stato diffuso, ci ha permesso di allineare tutti i membri del team, interni ed esterni. È stato un esercizio collaborativo fondamentale per condividere e rafforzare la visione.

Il comunicato conteneva:

  • Titolo e sottotitolo

  • Immagine

  • Riassunto del prodotto

  • Il problema che intendevamo risolvere

  • La soluzione proposta

  • Una citazione interna all’azienda

  • Una testimonianza cliente

Organizzare il lavoro: Sprint 0 e User Story Map

Con la visione condivisa, siamo passati alla pianificazione operativa. Lo Sprint 0 è stato dedicato alla stesura del backlog: la prima divisione delle attività e dei compiti. Abbiamo costruito una User Story Map, uno strumento essenziale per mantenere allineamento con le Personas e i flussi utente.

La struttura era chiara:

  • In alto, le attività principali

  • Sotto, i passaggi per ciascuna attività

  • Infine, storie e task collegati

Abbiamo poi ordinato le storie in base alle priorità:

  • Must (essenziali)

  • Should (utili)

  • Could (accessorie)

Una linea netta ci ha indicato cosa fosse necessario per l’MVP.

Il ciclo di sviluppo: sprint agili e test continui

Abbiamo suddiviso il tempo rimanente in tre sprint da due settimane ciascuno. Ogni giorno ci siamo confrontati in remoto, con stand-up meeting e aggiornamenti via Slack per mantenere ritmo e sincronia.

Durante il primo e secondo sprint abbiamo organizzato due revisioni interne, mentre il terzo sprint è stato usato per:

  • Preparare i server e l’infrastruttura tecnica

  • Costruire alcune landing page

  • Raccogliere i materiali per il lancio, in collaborazione con il team marketing

Il risultato? Un MVP completo, non un prodotto a metà, ma una soluzione reale, utilizzabile, progettata per rispondere concretamente alle esigenze degli utenti.

Il rilascio e il ritorno degli utenti

A due mesi dal primo incontro, abbiamo rilasciato il nostro MVP in produzione. Gli utenti coinvolti all’inizio del processo sono stati invitati a provare il prodotto finale. Il riscontro è stato positivo: hanno iniziato ad utilizzarlo attivamente e, con il supporto dell’Azienda-X, nuovi utenti sono stati coinvolti grazie a email mirate e test A/B.

Un nuovo modo di lavorare

Ma il vero risultato non è stato solo il prodotto. L’Azienda-X ha integrato un nuovo approccio metodologico all’interno della propria cultura. Un mix di Design Thinking e metodologia Agile, flessibile e adattabile, che continua a generare apprendimento, efficienza e visione strategica. Un metodo utile non solo per creare nuovi prodotti, ma anche per capire quando non vale la pena svilupparne uno, se non porta reale valore.

Il nostro percorso ha dimostrato come l’unione tra Design Thinking e metodologie Agile possa trasformare un’idea complessa in un prodotto concreto, funzionale e centrato sull’utente. Non si è trattato solo di lanciare un MVP, ma di costruire una cultura di sperimentazione e ascolto continuo. Questo approccio ha permesso all’Azienda-X non solo di reagire in tempi rapidi alla concorrenza, ma di integrare un metodo di lavoro efficace, replicabile e sostenibile nel tempo, capace di generare valore reale e duraturo.

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